Situata nella frazione Pieve, il cui nome è strettamente legato al ruolo che in passato questa chiesa rivestiva: Pieve o Chiesa Madre di tutte le cappelle e chiese della Valtenesi. La dedicazione è alla Madonna e l’origine può essere datata intorno al V-VI secolo.
La piena funzionalità della stessa è confermata con la leggenda del pievano Ermoaldo, divenuto poi Abate di Leno, collocabile intorno all’VIII. Fra la ricca letteratura su questo sacerdote, ci affidiamo alla storia dell’Abbazia di Leno, che presenta la successione dei suoi abati: Ermoaldo è pievano della Valtenesi e conosciuto da molti per santità. Alcuni uomini malvagi che non tollerano gli aspri rimproveri del prelato per i loro costumi scandalosi, decidono di diffamarlo presso il ve scovo, Apollinare, accusandolo di ipocrisia, fornicazione e adulterio. E’ un’accusa piuttosto pesante, allora il vescovo decide di recarsi a Manerba per esaminare il sacerdote. Si rende conto della santità dello stesso, lo prega di giurare la propria innocenza, ma Ermoaldo rifiuta appellandosi ad un altro segno: dopo aver pregato e con piena fiducia in Dio entra nel lago e, miracolosamente sostenuto dall’acqua, giunge sull’isola (di san Biagio). Meraviglia della gente e del vescovo che tenta in ogni modo di convincere lo stesso a rimanere a Manerba, ma questi si ritira per dodici anni a Monte Cassino indossando l’abito benedettino, per tornare poi nel Bresciano, a Leno, dove ne diventa abate. La leggenda ha avuto un suo seguito, anche se per giungere all’isola forse era favorito da punta Belvedere.
Interessa però l’esistenza a e la funzionalità della Pieve, riconosciuta nel 1145 come appartenente al vescovo di Verona con Bolla papale.
Ad essa si riferiscono per i principali sacramenti tutte le chiese della Valtenesi fino ai secoli XIV e XV, quando si staccano per avere una propria autonomia, pur celebrando insieme la Veglia pasquale.
Le prime notizie scritte sono del 1454con la visita del vescovo Ermolao Barbaro. Essa si presenta piuttosto “antiqua” e un po’ rovinata, anche se sono abbastanza decente il tabernacolo e il vaso di legno che contiene l’eucarestia. Nella prima metà del Cinquecento i verbali delle visite pastorali di Giberti ci offrono un’idea più approfondita della situazione, anche se spesso sono ripetitivi soprattutto nell’inventario degli arredi e delle suppellettili sacre. Oltre all’altare maggiore , vi sono altri altari luoghi di celebrazione di messe o per devozione o per lasciti. L’altare maggiore è dotato di un onorifico paliotto , la dedicazione è santa Maria Antica e sant’Antonio ed ha bisogno che siano riparate delle fessure. Seguono l’altare di san Silvestro che necessita di una pala, quello di san Rocco e Sebastiano ha bisogno che la pala sia ridipinta e si sistemi la pietra consacrata. Un, altro, quello del Corpo di Cristo o SS.mo Sacramento, che esisteva precedentemente, ora deve essere ricostruito e sostituita l’immagine di Gesù con una una croce. Infine all’altare dei santi Giacomo e Filippo si faccia il paliotto e lo si tenga pulito. Vi è pure una cappella di pertinenza della famiglia Anici che è piuttosto spoglia. Pure la sacrestia è da riparare. Una curiosità potrebbe essere l’elenco con nome e cognome di coloro che non si sono confessati. Nella seconda metà del secolo non è migliorata nella struttura soprattutto nelle numerose fenditure presenti.
Nel 1636 è sempre un po’ carente per i vari altari che sono lacunosi o per le croci e candelabri mancanti, paliotti poco decenti, , nonostante abbiamo delle buone dotazioni in denaro o terreni a motivo di lasciti per la loro sistemazione e celebrazione di messe.
Nel 1743 è già sulla via del trasloco come parrocchiale, perché ci si sta già muovendo per la costruzione della nuova a Solarolo. Inoltre svolgono un servizio discreto anche le cappelle delle varie frazioni, tenendo conto che la popolazione consta di 1245 unità con la presenza di circa trenta sacerdoti. Così si presenta nel 1743
Il fonte battesimale si trova in una cappella chiusa con restello e chiave eci sono quattro confessionali.
L’altare maggiore ha la mensa marmorea consacrata ed il rimanente è in legno, i esso sotto il vetro sono scolpite ‘immagine della Vergine con ai lati s.Pietro e s.Paolo.
L’altare di s.Stefano ha mensa marmorea e pietra consacrata, il rimanente in gesso, come pure l’immagine del santo scolpita (?)
Altare del Corpo di Cristo con mensa marmorea e pietra consacrata, è in muratura e vi è dipinta un’icona: questo è di pertinenza della Confraternita del ss.mo Sacramento eretta nel 1566, con un buon reddito e proprietaria di molti terreni.
Altare di san Rocco con mensa marmorea e pietra consacrata. Vi è un’icona di pinta di san Rocco datata 1588, anche in questo molte officiature, non dimentichiamo che questi è il protettore contro la peste.
Altare della Pietà : è in legno , ha la pietra consacrata e un’icona dipinta raffigurante la Deposizione dalla Croce
Altare del santo Rosario: ha la mensa marmorea e la pietra consacrata, il resto in legno con icone dipinte e, in cerchio, i misteri del Rosario.
Ormai nella seconda metà del secolo viene meno la sua funzione di chiesa parrocchiale e perde anche la dedicazione: ora la intitolazione è a san Rocco. Si celebra per gli abitanti della frazione, nella festa del santo e sempre mantenuta bene, tale da fare dire al vescovo nel 1906 è bella , con affreschi.
Questi sono stati poi oggetto di studio e di restauro da parte dell’Accademia di Cracovia e dalla techno restauri di Botticino negli anni Ottanta del secolo scorso.
La struttura
L’attuale costruzione è riferibile al XI-XII secolo e si trova in un luogo ricco di ritrovamenti archeologici. Il piano della chiesa ha una struttura a tre navate, una principale e due secondarie. a conclusione delle stesse un’abside semicircolare, sopraelevata da tre gradini per quella centrale, quella di destra absidata con un corpo a pianta semicircolare, quella di sinistra sopraelevta di un gradino, con cella semicircolare.
Lateralmente sono presenti cinque altari minori ; sei grossi pilastri sorreggono la copertura, costituita da archi e volte.
Il pavimento è in mattonelle di terracotta.La facciata è articolata in un volume principale corrispondente alla navata centrale e alle navate laterali, più basse e leggermente arretrate: una cornice di mattoni evidenzia la struttura a capanna. E’ poi caratterizzata da un grande portone con il sovrastante finestrone e da due oculi sulle navate secondarie e una finestra segnala il corpo aggiunto degli altari minori.
Nel retro domina l’abside dell’altare maggiore.
Nella navata sinistra sul pilastro sulpilastro dell’arcone della cappella absidale: Madonna in trono con bambino: questo , privo di datazione rappresnta la Vergine in trono con bambino seduto sul braccio sinistro (databile prima metà del Quattrocento)
Nel Pilastro sinistro dell’arcone trionfale: lacerto di Annunciazione-
Nel catino absidale si possono intravvedere solo alcune tracce di scrittura onciale e di santi e sante, forse relative secondo gli studiosi alle storie della Vergine.
Nella calotta absidaleIl monumentale Cristo Pantocrator, posto nella mandorla ancora secondo un’impostazione romanica,
Nell’abside meridionale: lacerto di Annunciazione (arco trionfale)e l.acerto di Giudizio Universale (sottarco)
Nella Navata destra nella terza campata :Madonna in trono tra san Sivino vescovo, san Rocco, san Benedetto (?) con donatore e san Bernardo. Affresco organizzato a trittico datato 1493, preceduto da parole illeggibili. Al centro domina la figura della Vergine in trono con bambino, tra san Sivino e san Rocco, che si affaccia su una sorta di laghetto, attraversato da una zattera con piccole figure umane oranti (forse scampate ad un naufragio).. San Sivino, vescovo, a sinistra di Maria indossa un piviale rosso e una veste bianca, come pure s Bernardo. Interessante la presenza di san Rocco, alla destra di Maria, rappresentato con i bordoni e i tipici abiti del pellegrino, oltre alla ferita sulla gamba provocata dalla peste. Nello scomparto sinistro si colloca un monaco benedettino, probabilmente san Benedetto, con il simbolo pastorale e il libro della regola, venerato da un giovane seguace come appare spesso nella iconografia del santo.
Nella controfacciata Giuditta con la testa di Oloferne o Salomè con la testa del Battista. Ci sono due interpretazioni anche se l’affresco per la caduta di colore è poco interpretabile, fatta eccezione per la cornice floreale di gusto rinascimentale. Il dipinto presenta inoltre tali caratteri da renderlo più recente rispetto agli altri
Nella terza arcata della navata centrale : Martirio di sant’Orsola e delle compagne è l’affresco più discusso e due sono le interpretazioni. Il Panazza (la più recente)lo vede come un affresco dedicato alla vita di un santo legato alle vicende dei signori della Rocca di Manerba. Il Pignatti ritiene invece che si tratti dell’incontro di due principi dopo un assedio e sottolinea soprattutto che le armi e i costumi dello due figure riportano a schemi carolingi, mentre altri particolari iconografici mostrano confronti con miniature ed affreschi ottoniani della Bassa Germania, della Svizzera e dell’Alto Adige. L’ipotesi più plausibile è forse quella dei restauratori in seguito all’intervento del 1987, che ipotizzano una datazione al secolo XII e la rappresentazione del martirio di sant’Orsola e delle compagne.
In Sacrestia: Madonna in trono con bambino tra sant’Apollonia e sant’Orsola. L’affresco si presenta in discreto stato di conservazione e privo di iscrizioni. Può essere datato tra il XV e XVI secolo (forse è lo stesso autore della Madonna tra san Sivino, san Rocco datato 1493).
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