Situato sul crinale della ultima collina verso il lago, al confine tra Manerba e Moniga. Dedicata a san Sivino, santo un po’ sconosciuto al ciclo santorale se non si modifica parzialmente il nome o in san Savino (come è trascritto nell’indice delle visite del vescovo Giberti), ma più probabile potrebbe essere San Silvino, ventiduesimo vescovo di Verona. Non è un caso se ai confini di Manerba esistevano due Chiese dedicate a due santi vescovi veronesi: san Procolo al confine con San Felice e Puegnago e san Silvino al confine con Moniga.
La fama di questa chiesetta è più legata alla leggenda del mugnaio Marco e del suo patto col diavolo, che ha lasciato, secondo la tradizione, le sue impronte sul muro della Chiesa.
La leggenda vuole che circa nel 1200 arriva in questa zona, dalla valle del Chiese, un mugnaio di nome Marco e, vista una polla da’acqua che dalla collina andava verso il lago, decide di acquistare il terreno per costruirvi un mulino: gli affari prosperano e buona parte della popolazione di Moniga si serve da lui, mentre l’altra dal mugnaio posto al confine estremo di Moniga.Dopo due anni però l’acqua viene a mancare, non c’è più lavoro e l’altro mugnaio costruisce un secondo mulino. Marco è disperato: si rivolge a san Sivino, ma invano. Decide di chiedere al diavolo e lo incontra, mentre travestito da frate esce dalla chiesetta. Questi, fra i vari dubbi e perplessità di Marco, riesce a convincerlo che in cambio del suo corpo dopo la morte, gli sarà data acqua in abbondanza. Firma il patto appoggiando la mano sulla pietra: sente un tremendo calore al braccio con del fumo nero uscire, la pietra sembra molle come cera e alla fine, dopo aver staccato la mano, vede l’impronta incavata. Il diavolo calca il piede sulla medesima pietra e l’impronta rimane nitida, perfetta. Il frate scompare e appare improvvisamente un bellissimo cavaliere coperto d’acciaio luccicante, con un cavallo superbo con la gualdrappa ricamata d’oro e pietre preziose che invita Marco a non rivelare quanto accaduto. Il mugnaio si rende subito conto di aver commesso un grave errore e vuole rivolgersi a san Sivino : fa per entrare nella chiesa ma una forza arcana gli impedisce di entrare, nonostante i numerosi sforzi. Torna verso il mulino e vede il canale pieno d’acqua e la ruota girare velocemente. Il lavoro riprende a pieno ritmo, con la costruzione di un secondo mulino e con l’accumulo di varie monete d’oro. Un giorno Marco cade scendendo una ripida scala con un sacco di grano sulle spalle, e si procura varie fratture nel corpo. Non ci sono possibilità di guarigione secondo il medico, allora viene chiamato il sacerdote, al quale Marco racconta le sue vicende e chiede il perdono di Dio, promettendo di lasciare tutte le sue ricchezze alla Chiesa. Nel momento in cui, alla presenza di testimoni, nomina erede dei sui beni la chiesa e viene assolto, un fracasso d’inferno fa tremare la casa e una colonna di fumo e di fiamme esce sibilando dal camino. Nel frattempo Marco è morto e dopo la ricomposizione del cadavere, si mettono a cercare l’oro nella casa, ma non si trova nulla: lo scrigno è sparito col diavolo. Il sacerdote, avendo compreso che col diavolo non bisogna trattare, fa scolpire una croce sulla famosa pietra fra l’impronta della mano e quella del piede.
Un’ipotesi più realistica, per quanto riguarda queste impronte, è quella di Fabio Gaggia, esperto di storia locale, che vede in queste un patto per la risoluzione di un debito tra il comune di Padenghe (piede) e quello di Manerba (la mano) nel 1530 a seguito dei debiti accumulati per le grosse spese sostenute per le invasioni dei soldati .
La stessa mano scolpita sulla porta d’ingresso potrebbe rappresentare le cinque frazioni del territorio che si estende da qui e allo stesso tempo dar credito a coloro che vogliono l’origine del nome Manerba, da mano d’erba invece che da Minerva.
Le prime notizie riferibili alla chiesa sono del 1532. Dal verbale della visita di Giberti, risulta semidistrutta e rimane sempre aperta. Si ordina o di ripararla o demolirla del tutto. Gli uomini della comunità rifiutano in quanto è legata ad una festa molto importante del lago ( dalla nota marginale si viene a conoscenza che è stata dotata di porta e tenuta chiusa). Infatti,in detta località aveva luogo una fiera annuale ( come si può leggere dagli appunti di Camponogara ) abbastanza famosa per concorso di gente e anche perchè che in tal giorno erano permessi giochi di carte ritenuti d’azzardo (la reginetta e la biscazza)e proibiti buona parte dell’anno.
Nel 1595 , dalla visita di Agostino Valier, si viene a sapere che vi è una celebrazione annuale, nella festa del santo che ricorre la prima domenica di giugno. Il reddito della chiesa è legato a quello della parrocchia.
Nel prosieguo delle visite pastorali non sempre questi piccoli oratori sono oggetto della visita vescovile o dei suoi vicari. La prima citazione è del 1655 (visita Pisani I) vi si celebra il giorno delle Rogazioni e vi si porta la pietra sacra e le cose necessarie alla celebrazione dalla parrocchiale. E’ senza porta perché le frequenti incursioni dei banditi l’ha demolita.
Nel 1743 (visita Bragadino) risulta di pertinenza della comunità. Ha un solo altare con mensa marmorea e pietra consacrata, il rimanente è in legno e, sotto il vetro, c’è l’immagine scolpita di san Sivino. Vi si celebra a volte per devozione. Nella casa adiacente alla chiesa vive il custode, l’eremita Francesco Prandelli, che è responsabile anche di san Procolo.
Nel 1837 manca del necessario e non è presa in considerazione e la stessa situazione si ripete nel 1906: è povero ed ha un solo altare e forse veniva usato una volta l’anno o per la festa del santo o per le rogazioni.
Verso gli anni settanta del secolo scorso è in funzione nei giorni festivi e durante la stagione estiva sia per la celebrazione di una messa in tedesco per gli stranieri ospiti dei campeggi che si trovano nelle vicinanze sia per le funzioni dei Protestanti.
Devastato da ignoti nel 1986, viene poi restaurato grazie all’intervento di un mecenate tedesco.
Oggi vi è un contenzioso tra la parrocchia e i proprietari dell’area vicino alla chiesa, che ne rivendicano la proprietà.
La struttura
Ad aula unica con prospetto a capanna, con un piccolo rosone sopra il portale d’ingresso, dove vi è incisa una mano. L’interno è suddiviso in campate da archi a tutto sesto, che reggono un tetto con struttura lignea a vista a supporto di quadrelle in cotto. Il presbiterio ha una copertura voltata e non in fase con il resto della costruzione. La decorazione dell’aula risulta scarna e con una connotazione quasi romanica, richiamata anche dalla pavimentazione in cotto, mentre il presbiterio contiene una parte di affresco non ultimato che rappresenta scenografie architettoniche ridondanti. Dall’aula si accede ad fabbricato su due piani (sacristia e monolocale).
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